Arnon Grunberg
Iperstoria,
2006-06-25
2006-06-25, Iperstoria

Dissacrare per difendere


Anna Belladiri

E’ stato recentemente tradotto dall’olandese il secondo romanzo del giovane scrittore Arnon Grunberg, che non si è lasciato schiacciare dal peso, spesso pericoloso, dell’etichetta di "caso letterario", e ha superato la prova della seconda pubblicazione, il problema principale di molti "casi letterari".

Come la sua opera prima, Lunedì blu, anche Comparse è influenzato dall’esperienza personale dell’autore, costretto fin da piccolo a convivere con l’angoscia. La madre era infatti una sopravvissuta a Auschwitz, e la tragica esperienza aveva imprigionato la donna in uno stato di psicosi permanente che le impediva di vivere il presente e di parlare solo e continuamente del passato. Arnon Grunberg, in un’intervista concessa in occasione dell’uscita di Lunedì blu, ha dichiarato: (i miei genitori) parlavano di cose del genere troppo spesso. Alla fine era una farsa. Se continui a ripeterle, certe cose, perfino le SS diventano una farsa. Il pericolo peggiore, secondo l’autore, è quindi la banalizzazione della storia mediante la sua riproposizione a oltranza: egli teme che i sentimenti di dolore e di pietà nei confronti delle tragedie storiche diventino una reazione meccanica, quasi "dovuta".

Un modo per impedire ciò è, come Grunberg ha detto, dissacrare la storia mediante il distacco ironico: certa gente distrugge perché ciò che viene distrutto appartenga a tutto ciò che è stato distrutto nel tempo. Dissacrare significa dunque evidenziare con senso critico le falsificazioni e affidare alla memoria un’immagine reale degli eventi. Grunberg sceglie quindi di non parlare dell’ebraismo, e di fare riferimento a esso solo in termini di folklore, di complesso di usanze. Tra le altre cose, l’autore sceglie di chiudere il romanzo con una vera e propria parodia della diaspora degli appartenenti al suo ghetto privato. Dal Vecchio al Nuovo Mondo, dalle isolette di Amsterdam a quella di Manhattan.

Occorre a questo punto precisare che Comparse non è un romanzo sull’ebraismo, o per lo meno soltanto sull’ebraismo, e sarebbe riduttivo cercare di leggere tutta l’opera in questa chiave. Ridotta all’osso, la trama suona alquanto scontata: nella Amsterdam degli ultimi anni ’80, dove la massima aspirazione di un ventenne è figurare come silent extra, cioè comparsa, per uno spot di patatine fritte, tre ragazzi bighellonano per la città alla ricerca della celebrità ma, contrariamente a quanto ci si aspetta, affrontano i provini e i ruoli insignificanti che riescono a ottenere con noncuranza e senza il minimo coinvolgimento emotivo. Sarebbe a questo punto facile, e la lettura di alcuni passaggi rende la tentazione piuttosto forte, etichettare questo romanzo come un’ulteriore espressione pseudo-artistica di una generazione di individui sgradevoli, senza midollo e senza sentimenti, una sorta di equivalente letterario del confuso fenomeno grunge americano degli anni Novanta.

Chi cede a questa tentazione, però, non scoprirà mai che a Ewald, Broccoli e Elvira non importa di diventare attori, né tanto meno comparse. Non vogliono nemmeno andare a Hollywood, anche se due di loro alla fine ci andranno. I protagonisti di questa storia non sono alla ricerca di un qualsivoglia riconoscimento del loro talento, stanno solo prolungando il più possibile lo stato di grazia assoluta in cui si trovano quando sono insieme.

Almeno una volta nella vita, càpita di sorprendersi in una situazione di cui sembra assolutamente naturale fare parte. Ci sono rari momenti in cui la coscienza ci dà tregua, e possiamo vivere per qualche istante con facilità, quasi senza accorgercene, senza il bisogno continuo di chiederci il perché e il come delle nostre azioni. Questo è lo stato di grazia assoluta.

I tre ragazzi non si cercano, non si danno quasi mai appuntamento, eppure sono sempre insieme. Per loro è naturale parlare, mangiare e dormire insieme, e le aspirazioni di gloria che condividono servono anche, o forse solo, a passare più tempo possibile con le uniche persone che, secondo loro, vale la pena di frequentare. Ewald, che scrive la sua storia quando ormai può ritenersi adulto, dice: solo in seguito ho ripensato a quegli attimi. L’ho fatto spesso, anche per giorni interi, e non l’ho mai considerato tempo sprecato. Questa dichiarazione apre la strada a una possibile interpretazione di questo romanzo come un bildungsroman atipico, dove l’età adulta non è il piedistallo dall’alto del quale si giudicano gli errori di gioventù ma è semplicemente una condizione che si vive quando ci si trova a fare l’agente immobiliare, o "l’avvoltoio", come fa stampare Ewald sui suoi biglietti da visita.

L’assurdità di alcuni comportamenti dei protagonisti e il tono con cui Grunberg conduce la narrazione ricordano un’opera leggerissima e visionaria, Storie di cronopios e di fama (1962) di Julio Cortàzar, scrittore argentino che visse per trent’anni in esilio volontario a Parigi, maestro del virtuosismo linguistico e del problematico "romanzo non lineare" (Rayuela, 1963).

L’idea di Broccoli di far stampare duemila biglietti da visita con scritto "Mister Broccoli ha l’onore di offrirle da bere", oppure il giuramento solenne che dà vita al "progetto Brando", cioè la decisione comune di assomigliare all’attore nel periodo preciso delle riprese del film "Ultimo tango a Parigi", non sono comportamenti lontani da quelli degli esseri fantastici e geniali creati da Cortàzar, che decidono di tradurre in rumeno tutti i programmi radiofonici, o che allestiscono senza alcun motivo un patibolo nel giardino.

Comparse, in un certo senso, sembra quindi esplorare una sorta di fenomenologia della genialità, tenendosi ben lontano, però, da qualsiasi riflessione filosofica che definisca o cerchi di nominare il genio che, abitando allo stesso tempo la ragione e l’irrazionalità, il calcolo e l’imprevisto, è innominabile per condizione.