Arnon Grunberg
La Repubblica,
2019-02-17
2019-02-17, La Repubblica

L’ultimo segreto del dottor Kadoke


Gaia Manzini

Uno psichiatra alle prese con casi controversi e pieni di misteri. Ma il centro pulsante della storia raccontata da Arnon Grunberg è una metamorfosi. Di famiglia.

«Kadoke vorrebbe suonare il campanello, ma l’erba lo fa esitare. Prende il tubo dell’acqua e inizia a innaffiare il giardino, gli alberi, le piante, il prato».

Otto Kadoke è prima di tutto un figlio, un figlio che si occupa di tutto, che vive perché altri non debbano morire. Ma è anche come quel getto d’acqua col quale si prende cura dell’erba di sua madre: fluisce, non oppone resistenza. Non ha forma.

Otto ama i fiori, le piante, il prato dove un tempo giocava a badminton con il padre, ma non ama il suo nome.

Fin da bambino gli dava fastidio perfino il suono, preferiva farsi chiamare Oscar. I pazienti invece, quando si rivolgono a lui, usano “dottor Kadoke”; se sbagliano a pronunciarlo, lui non li corregge. Il protagonista del nuovo romanzo di Arnon Grunberg, Terapie alternative per famiglie disperate — lo psichiatra di un’unità di crisi che fugge dalle emozioni, preferendo la blanda calma della malinconia — è un uomo senza un vero nome, senza contorni precisi. Ragiona su tutto, riflette invece di vivere.

Più di ogni altra cosa gli piace fumare: nel fumo trova una tranquillità benefica, che gli ricorda vagamente l’amore. Nella sua esistenza sedata, Kadoke evoca altri protagonisti dei romanzi di Grunberg; primo tra tutti Jörgen Hofmeester del Maestro di cerimonie, l’uomo la cui vita precipitava verso un fondo scuro, e anche se le sue azioni risultavano perfettamente calibrate, il lettore percepiva a ogni riga il nascondersi di una minaccia.

Otto sta per cadere, come Hofmeester traballa ai margini della sua esistenza — «vivere è vacillare, e lui lo sa meglio di chiunque altro» — ma nel suo caso l’errore sarà una possibilità. Grunberg lo suggerisce con il suo stile allusivo, con quel tono tragicomico che richiama i fratelli Coen. Sbagliare sarà l’inizio di un percorso che salverà Otto Kadoke dal suo indistinto fluire. Diventare umani, d’altronde, non è altro che commettere passi falsi.

«In certi momenti lo sorprende il pensiero di amare Rose… la ragazza che si prende cura di sua madre, la ragazza che tiene in vita sua madre». Rose è il primo errore di Kadoke. Se Otto non conosce davvero se stesso, non può capire neanche le persone intorno a lui. Baciare Rose, fare l’amore con lei, si rivelerà disastroso. In seguito a quell’eccesso di passione incontrollata, peraltro così inusuale, perderà entrambe le badanti di sua madre.

Grunberg costruisce per il suo personaggio un piano inclinato, lo fa scivolare inesorabilmente da una situazione all’altra. Presso l’unità di crisi, Kadoke ha il compito di valutare i pazienti. Accertarsi se rappresentino un pericolo per sé e per la società. È lui a stabilire se il paziente deve essere ricoverato contro la sua volontà.

Un Tso, un trattamento sanitario obbligatorio (lui «ama il gergo tecnico perché suona così ammaliante e di conseguenza rassicurante»). Il dottor Kadoke evita che le persone si suicidino non perché creda nella vita, ma perché non sopporta l’idea della morte. «Non si vive grazie a qualcosa, si vive nonostante qualcosa». La malattia ci avvicina alla verità. In alcuni casi è la verità.

Ma una volta Otto rilascia un paziente che si suiciderà pochi giorni dopo. E, quando in un’emergenza incontra Michette, per quanto sappia di essere davanti a un soggetto irrecuperabile — beve detersivi, ha tendenze autolesionistiche, usa il sesso come un calmante — decide ugualmente di provare una terapia alternativa.

Decide di portarla a casa sua. Michette diventerà la badante della madre di Otto. Sarà la testimone del segreto di Kadoke. Perché quello che succede in casa dello psichiatra è il vero centro pulsante di questa storia.
La madre, da tempo malata, è in realtà l’anziano padre di Kadoke.

L’uomo si è trasformato, la metamorfosi è stata una strategia di sopravvivenza contro la depressione, contro una vita in cui non riusciva più a trovare ragione d’essere. Entrambi i genitori di Otto sono sopravvissuti alla Shoah. Il padre, in seguito alla morte della moglie, ha capito che non doveva rimanere per forza ciò che era: poteva diventare la defunta, proseguire la sua vita, portare avanti il suo trauma.

La metamorfosi mette in scena il fluire della Storia, la transitorietà dell’esistenza. Ma è anche un modo di annullarsi come individui. Si tiene in vita la memoria, ma nello stesso tempo si perpetua il senso di colpa per essere sopravvissuti. Kadoke, l’uomo senza contorni precisi, non vorrebbe esistere. Non si concede di essere felice: è questa la sua eredità. Eppure arriva per tutti il momento di riscrivere il proprio passato. Il momento di prendere le distanze dal dolore e cominciare a vivere davvero.