Arnon Grunberg
La Repubblica,
2007-03-26
2007-03-26, La Repubblica

L'elogio dell'indifferenza


Irene Bignardi

Conoscendo l'autore (poco, ma all'epoca del suo debutto con Lunedì blu, dodici anni fa, mi è capitato di avere con lui una divertente intervista) la tentazione di andarlo a cercare nelle pagine del suo nuovo romanzo è molto forte. Grunberg è, come il suo prota- gonista, un ebreo olandese. Come il suo protagonista, in qualche modo, è sempre stato in fuga, o in una perenne irrequietezza, e gli ha attribuito la sua stessa professione.

Le coincidenze si fermano lì per il resto sappiamo che Grunberg, a trentasei anni, vive tra Amsterdam e New York, è autore di culto, ha scritto quindici libri sotto il suo nome e sotto quello del suo alias letterario, Marek van der Jagt, autore di «Storia della mia calvizie» ( pubblicato sempre da Instar Libri). Ma gli umori che escono da «Il rifugiato» ci suggeriscono di attribuirgli anche una parte della disillusione e del nichilismo che è proprio, appunto, di Christian Beck, ex autore di successo che a poco a poco si distacca dal suo mestiere, perde fiducia nel potere di comunicazione della parola, per non dire negli esseri umani, e, per campare, diventa traduttore di libretti di istruzione.

Un lavoro che, pur con tutto il distacco dal mondo che ha ormai acquisito, Beck fa con grande senso di responsabilità, perché non sia mai che una informazione mal tradotta in un libretto produca qualche danno ai potenziali utenti. Il suo senso di responsabilità nella professione di traduttore, suggerisce il libro, è molto più forte di quello che Beck provava quando scriveva certe cose in passato, fino a un certo punto inconsapevole del potere di suggestione delle storie che uno scrittore dà alle stampe, tanto più quando sono piene di sentimenti violenti e duri come quelli immaginati da Beck stesso così violenti e duri da indurlo a smettere di scrivere.

Il solo sentimento che ancora Beck prova è l'amore per la sua compagna, una donna gentile e generosa che sente come un imperativo morale l'assistenza ai meno fortunati. Al punto che un bel giorno, quando già si sa ammalata senza speranze, gli annuncia che intende sposare un rifugiato algerino per dargli la cittadinanza. Beck non può che accettare, trasloca a dormire nell'ingresso sotto l'attaccapanni e inaugura un bizzarro e apassionale ménage a tre la cui cronaca è contrappuntata dei ricordi della loro vita a Eilat anni prima: dove Beck, dal profondo della sua indifferenza («Perseguire la disillusione totale non è una cosa leggera che si può fare come un hobby») era stato protagonista di un immotivato episodio di violenza.

L'episodio riemerge dopo la morte della donna, quando un travestito kamikaze fa saltare in aria un celebre bordello di Amsterdam, il Yab Yum, e la stampa e la televisione si scatenano a cercare l'ispirazione di questa strage in un vecchio racconto di Beck appena ripubblicato appioppandogliene la responsabilità morale.

Elogio dell'indifferenza, invito al distacco, elegia a un unico sentimento forte (il rispetto e l'amore per una persona, disgiunto totalmente, però, dal senso del possesso), Il rifugiato è uno strano romanzo (nel suo paese ha venduto centomila copie ed è stato tradotto in mezzo mondo): sgradevole e a volte divertente, freddo e dissacrante, grottesco e realistico e a tratti ossessivamente ripetitivo mette in discussione, insieme, le convenzioni e le passioni, il sistema sociale e le illusioni personali. E riesce nella scommessa di non farti amare nessuno.