Arnon Grunberg
La Repubblica,
2003-11-17
2003-11-17, La Repubblica

Storia della mia calvizie


Susanne Nirenstein

Questa è la stora amara e strafottente di un adolescente e delle sue infinite frustrazioni. Di un giovane Holden meno determinato ma altrettanto scocciato dalle novità che la vita propone a quell’età e teso a percorrerle, così come ad eliminare l’invadenza e la nefasta influenza dei propri genitori. Un romanzo di formazione? Beh, in un certo senso, tenuto conto di uno spesso, totale, gioco dell’assurdo. Il fatto è che l’io narrante si trova ad affrontare i fatidici quattordici/quindici anni in una ricca famiglia viennese tirannizzata da una madre bella, ciclotimica, egocentrica, colta, esibizionista (basterà dire che ama indossare quasi sempre hot pants di tutti i colori e a volte anche di pelle rossa?), contornata da diecimila amanti di ogni genere, belli, brutti, ricchi e poveri, per una notte, un’ora, un viaggio, un appuntamento settimanale, fate voi, comunque non nascosti né ai figli allibiti né al marito assorbito dal proprio lavoro, chiuso, come per necessità, in un castello di gomma indifferente fatto di orari, pranzi famigliari comme il faut, portate impeccabili, modi ineccepibili. Accanto, due fratelli, uno considerato in casa un violinista geniale, convinto di riscuotere entro due anni i successi di Yeudi Menuhim e sempre occupato a impomatarsi le delcate mani, l’altro fragile e isterico, pronto a urlare non appena l’attenzione si sposta da lui a qualcun altro.
La situazione per il ragazzo, insomma, non è entusiasmante, tanto più se, carcando una scappatoia da tutto ciò nella ricerca dell’amore, anzi dell’amourfou, e trovata finalmente l’occasione in cui dar prova del proprio ardore, il giovanotto scopre di avere un organo sesuale troppo piccolo, diciamo meglio, minuscolo, ridicolo.
E’ in queste tristi circostanze che cresce Marek van der Jagt, autore e protagonista di Storia della mia calvizie, ma in realtà nome civetta, pseudonimo dietro cu si nasconde l’irriverente Arnon Grunberg, il trentunenne olandese che a suo tempo, nel ’94, vinse il Premio per il miglior romanzo d’esordio in lingua nederlandese con Lunedì blu (edito in Italia per Mondadori, come del resto Comparse) un piccolo gioiello di autoironia, alla maniera ebraica un Woody Allen ragazzo, un Philip Roth in erba, tra primi incontri sessuali, arte d’arrangiarsi e una sorta d’adozione ricevuta nei quartieri a luci rosse di Amsterdam: la sua ennesima beffa, tra l’altro, è perfettamente riuscita, perché nel 2000 Grunberg alias Marek van der Jagt con Storia della mia calvizie si era nuovamente aggiudcato il Premio olandese per esordienti; aveva anche prodotto una foto del presunto autore, quella trafugata al fratello della sua ragazza, in America. L’altro riconoscimento poi, venuta fuori la verità, giustamente, quell’anno è stato annullato. Ma torniamo al romanzo. L’amour fou si presenta a Marek/Arnon nelle vesti di Andrea e Milena. Marek si è già fatto un po’ sbaciucchiare dalla madre di Max, un ragazzino handicappato a cui dà lezioni a domicilio: lei gli tende trabocchetti a tutti gli angoli della casa, si fa trovare seminuda, gli dice “parlami come a una puttana”. Ma, francamente, non è il suo genere. Andrea e Milena invece sono due belle turistotte lussemburghesi simpatiche e smaliziate, così naturali che quando costringono il nostro protagonista a togliersi i pantaloni gli dicono senza nessun imbarazzo, anzi, con sincera simpatia “lo fai apposta, vero? Certo che può diventare più grande. Lo fai apposta”.
In famiglia di questo handicap non ne volgiono sapere. Non è un argomento “elegante”, interessante. Meglio per ognuno continuare a concentrarsi su di sé. Ma le donne sono buone e materne: qualcuna si applicherà lo stesso sui miseri attributi di Marek. E con una di loro, Mica, signora adulta, prospera e un po’ sfatta, sarà anche amore. Senza esagerare. Marek/Grunberg guarda la realtà, ci si adatta, va da un inutile chirurgo plastico, da un più utile e particolarissimo psicoanalista, prende una medicina omeopatica suggerita da Mica che ha però l’effetto secondario di fargli cadere tutti i capelli, cerca (anche con la forza, ma questo è il colpo di scena che non vi sveleremo) un angolo approssimativo da cui partire per andare avanti con un minimo di curiosità e di leggerezza, nonostante il pisello invisibile, nonoistante la calvizie, nonostante quella famiglia diabolica.