Lo scrittore che vive due volte
Roberto Bertinetti
La beffa letteraria meglio riuscita degli ultimi anni nacque dal desiderio di fare un favore a un amico. Era il 1999 quando Arnon Grunberg, giovane narratore olandese che aveva già conquistato la fama con Lunedì Blu, scintillante opera d’esordio pluripremiata ad Amsterdam e subito tradotta in molte lingue, decise di affidare un nuovo libro ad una piccola casa editrice dove lavorava un compagno di scuola. Pochi mesi più tardi Storia della mia calvizie, dello sconosciuto Marek van der Jagt, incantava critici e lettori, si aggiudicava un importante riconoscimento per il miglior debutto in lingua olandese, vinto nel 1994 proprio da Grunberg, e battagliava per la conquista del vertice delle classifiche con Dolore fantasma di Arnon Grunberg. Il mistero sull’identità di Marek van der Jagt, che a dispetto del successo rifiutava di apparire in pubblico e respingeva ogni richiesta di intervista, venne svelato solo nel 2002, quando alcuni matematici analizzarono al computer i romanzi dei due autori. L’esito dell’indagine non lasciò margine per alcun dubbio e Grunberg, che dal 1995 si era trasferito a New York al seguito di una fidanzata, fu così costretto ad ammettere l’inganno. "Mi dispiace molto che qualcuno si sia arrabbiato non appena è emersa la verità. Non avevo infatti alcun disegno prestabilito quando decisi di far nascere Marek. Poi mi sono accorto che questa doppia identità mi permetteva di studiare più a fondo il rapporto tra realtà e finzione, sperimentando in contemporanea strategie narrative molto lontane tra loro", dice da New York lo scrittore, in partenza per l’Italia dove sarà al Festivaletteratura di Mantova per presentare Gstaad 95-98, appena tradotto da Franco Paris per Instar Libri (280 pagine, 15 euro), l’ultimo libro di Marek van der Jagt.
E’ proprio l’abissale differenza che separa i lavori di Grunberg da quelli del suo alter ego a stupire chi legge le opere di questo talentuosissimo nipotino postmoderno di Pessoa. Capace di rivisitare in maniera molto personale l’antica tradizione ebraica nei panni di Grunberg, con uno stile che ad alcuni ricorda Singer e Philip Roth, e di proporre invece nelle vesti di Marek van der Jagt fiabe un po’ macabre e sempre perverse come erano quelle della britannica Angela Carter. E’, appunto, il caso di Gstaad 95/98, cruda autobiografia di un assassino che non risparmia dettagli sul legame incestuoso con la madre, sulle bizzarre pratiche sessuali con anziane coppie che si trovano a frequentare gli alberghi nei quali lavora e, infine, sulle modalità dell’omicidio di una ragazzina appena undicenne incontrata in una celebre località turistica. "Lo giudico un romanzo tragicomico sugli effetti prodotti da un legame troppo stretto tra una donna e suo figlio. Certo, François Lepeltier è un personaggio decisamente antipatico, un individuo perverso. Tuttavia a me, almeno quando divento Marek van der Jagt, interessa raccontare storie sgradevoli, proporre scenari da incubo dai quali emergono i lati più nascosti della personalità, le pulsioni segrete che la maggior parte delle persone riesce a controllare ma che, in alcune particolari circostanze, prendono il sopravvento e producono i mostri di cui sono piene le cronache sia in europa come in America", precisa lo scrittore.
Il gioco della doppia identità, aggiunge, continuerà anche in futuro. "Ho appena terminato un nuovo romanzo di ambientazione ebraica in uscita tra pochi mesi firmato con il mio vero nome, ma credo che quello successivo sarà di Marek van der Jagt. I lettori e i critici devono abituarsi all’idea che si tratta di due artisti autonomi con un disegno comune: svelare i trucchi della realtà attraverso le bugie della letteratura. Il mondo in cui viviamo poggia sulle menzogne dei politici, dei pubblicitari e dei fondamentalisti fanatici. Io, per quanto riguarda il compito della narrativa, condivido un’idea cara a Salman Rushdie: spetta ai romanzi dire la verità in un’epoca in cui le persone che dovrebbero difenderla inventano storie per ingannare la gente", teorizza Grunberg. Che, tuttavia, sottolinea con forza di non ritenersi uno scrittore impegnato. "Quando parlo di verità mi riferisco a un concetto di tipo etico. Nelle mie opere cerco di mettere a fuoco piccoli drammi individuali che a volte, quando se ne occupa Marek van der Jagt, prendono una piega tragica, mentre se a raccontarli è Arnon Grunberg l’aspetto comico tende a prevalere", conclude il camaleontico genio olandese dal passato avventuroso (prima espulso dal liceo, poi editore di “libri non ariani” con prevedibili esiti fallimentari) e dal luminosissimo futuro se riuscirà nel corso dei prossimi anni a proporre ancora romanzi all’altezza di quelli, davvero insoliti e bellissimi, usciti sino a oggi.