Arnon Grunberg
Wuz,
2009-04-30
2009-04-30, Wuz

Il maestro di cerimonie di Arnon Grunberg


Marilia Piccone

“Non sono nessuno”, ha detto lui. “Avevo un grande ego, ma l’ho dimezzato e tu poi l’hai macinato fino a farne polpette. Sono il padre di Tirza e Ibi. Questo soprattutto. Ecco quello che sono, sì questo, non molto di più, ma neanche di meno. Il padre di Ibi e Tirza. Sono padre.”

La storia di un uomo qualunque che ha lavorato in una casa editrice ed ora è stato messo in prepensionamento.
La storia di un fallito.
La storia di un uomo piantato dalla moglie che ha ‘tirato su’ da solo le due figlie negli ultimi anni.
La storia di un padre che ama troppo Tirza, la figlia minore.
In apparenza Il maestro di cerimonie, il nuovo romanzo dello scrittore olandese Arnon Grunberg, è un romanzo tradizionale, anche considerando tutti i filoni che lo percorrono. Ma Arnon Grunberg è pur sempre Arnon Grunberg, oppure, Arnon Grunberg è pur sempre Marek van der Jagt (lo pseudonimo con cui lo scrittore ha pubblicato i suoi primi libri), e chi già lo conosce legge Il maestro di cerimonie con un certo sospetto, davanti a tanta apparente normalità. E, per l’appunto, Arnon Grunberg non si smentisce: il serpeggiante disagio che il lettore prova aumenta a mano a mano che gira le pagine, fino al finale agghiacciante.

Il nome del protagonista è Jörgen, il cognome è Hofmeester, ‘il maestro di cerimonie’ del titolo italiano, quello che dirige la danza. Anche se il titolo originale è, più semplicemente, Tirza- come si chiama la figlia per cui Jörgen sta preparando la festa dopo che ha brillantemente superato la maturità. Invitati i compagni di scuola, i professori, amici vari, ex ragazzi e l’attuale fidanzato di Tirza, che il padre non conosce ancora. Arrivano anche la sorella maggiore che dirige un B&B in Francia e- non invitata e a sorpresa- la madre, che non si fa viva da tre anni. La festa per Tirza sarà anche una festa d’addio, perché la ragazza si prenderà un anno sabbatico in giro per l’Africa, prima di iniziare l’Università.

L’azione è quasi nulla nei libri di Grunberg: in questo assistiamo ai preparativi per la festa (e intanto veniamo a sapere come Jörgen passi le sue giornate per non lasciar trapelare che non va più in ufficio e come sia diventato un abile nonché appassionato cuoco), ascoltiamo i battibecchi con la moglie (una belloccia ancora piacente che è tornata a casa perché non ha altro posto in cui andare), apprendiamo che, anni prima, Jörgen ha sorpreso la figlia maggiore, allora quindicenne, mentre faceva sesso con l’inquilino del piano di sopra (secondo il padre la figlia era stata violentata, secondo i due diretti interessati si era trattato di un rapporto consenziente e soddisfacente per entrambi).
Poi c’è la festa, e il comportamento disdicevole sia di Jörgen sia della moglie. Grande assente, almeno fino a festa inoltrata, proprio Tirza, ‘la Regina del Sole’, come la chiama suo padre. Quando arriva, il suo nuovo fidanzato non piace affatto a Jörgen (ma gli andrebbe mai a genio qualcuno che ponesse gli occhi sull’adorata Tirza?) - Jörgen prende a chiamarlo Mohammed Atta, il capo del commando suicida dell’11 settembre, sembra il fratello gemello di Mohammed Atta…, è anche lui è un terrorista… Di certo attenta all’amore esclusivo tra padre e figlia.
Da questo punto in poi, tutto si svolge in fretta: Tirza è di partenza, il padre insiste per accompagnarla all’aeroporto di Francoforte. E, quando Tirza pare essere scomparsa in Africa senza dare notizie, Jörgen Hofmeester si mette sulle sue tracce…

Alcuni dei romanzi precedenti di Arnon Grunberg (e penso a quelli firmati Marek van der Jagt) erano narrati in prima persona; Il maestro di cerimonie è in terza persona eppure - e qui è la bravura dello scrittore - leggendo il libro si ha l’impressione che sia il protagonista a parlare, oppure che si entri nella testa del personaggio e se ne seguano le riflessioni, i ricordi, le argomentazioni, come in un flusso di coscienza molto particolare, alternato al dialogo. E in ogni pagina ritroviamo la cifra stilistica di Grunberg, un misto di cinismo e ironia, di macabra allegria e triste alienazione, una distorsione affettiva che inclina verso l’incesto e la pedofilia, in bilico fra orrore e compassione.
E un’enorme solitudine.